Un tour di due giorni nella zona
di Igoji per consegnare il contributo scolastico per alcuni bambini sostenuti
dalla nostra Associazione, mediante le sponsorizzazioni. Sono dieci le scuole
primarie da visitare, andando, come al solito qui, per strade impervie e
dissestate. In compenso si attraversa una terra verde e rigogliosa, con
coltivazioni di tè, banani, mango, caffè e altro, si avvistano paesaggi
incantevoli e si arriva in zone abbastanza periferiche da suscitare sempre la
curiosità degli abitanti del luogo. Io sono solo di compagnia, ma visti gli
ambienti dove ci introduciamo, mi trasformo ovviamente in un testimone di
questa realtà. Se uno pensa all’Africa come una terra di ignoranti, cioè di
scarsa scolarizzazione, venga con noi a vedere quante scuole frequentate da
centinaia di bambini e ragazzi sono dislocate in zone inimmaginabili. Si
cammina per chilometri immersi in queste zone verdi, ogni tanto s’incontrano
persone, baracche, nuclei abitati, che sono segno di vita lì, poi, quando uno
non se lo aspetta, ecco una scuola con un ampio spiazzo dinanzi. In genere c’è
anche una chiesa nelle vicinanze. Mentre Marek si avvia all’interno della
scuola per incontrare un responsabile scolastico, io mi aggiro intorno in
attesa dell’arrivo inevitabile dei bambini. Ormai sono abituato, ma è sempre
sorprendente questo accerchiamento, soprattutto se vedono una macchina
fotografica. Il primo impatto è fatto di sguardi catturati reciprocamente, in
silenzio, come uso fare. Loro si mostrano attratti da me “mzungu” (bianco),
evidentemente abbastanza raro qui, non meno di quanto io mi soffermo
affascinato sui loro occhi. Vi si legge di tutto, tranne la sofferenza. Basta
stringere la mano, far vedere una foto sul display, provare a scambiare qualche
parola in inglese o kimeru e saltano di gioia con grida facendo a gara a chi
più mi tocca. Da una timidezza iniziale, quando vedono che tendo le braccia i
più audaci arrivano subito, altri stentano a lasciarsi convincere ma alla fine
cedono e mi si stringono intorno, cercando la mia mano. Ne avrò strette decine
e decine. Alcuni cominciano a sfiorarmi le braccia per via dei peli a loro
ignoti, io lascio fare ed è un ammasso di carezze. Non sono per nulla
aggressivi, si mostrano educati nonostante l’esuberanza del momento, nel senso
che quando faccio capire che il gioco finisce si fanno da parte. Inoltre,
dimostrano di temere gli insegnanti, perché in loro presenza si acquietano. Mi
è capitato di entrare in un’aula con l’insegnante assente e i bambini mi hanno
invitato a sedermi al suo posto e abbiamo in qualche modo dialogato. Tanti di
loro erano scalzi. Sono stato più volte in giro per l’Africa e l’incontro con i
bambini è sempre speciale. A me ricorda gli anni della mia infanzia, quando noi
bambini eravamo attratti da qualche parente o conoscente emigrato, che veniva
in vacanza nel paese con la macchinona americana. I sensi in quel momento
diventano una forma di conoscenza, di condivisione. Toccare, toccarsi è
interrompere con quel gesto semplice una distanza, è creare una continuità tra
due persone, due razze, due vite, due diversità. Quando sono stato nel deserto,
affondando i piedi nella finissima e morbida sabbia delle dune, coglievo la mia
continuità con la terra, come un albero che affonda le radici nella madre terra
per trarne la linfa vitale. Anche i nostri bambini al villaggio amano toccare
ed essere toccati, accarezzati. Quando vado sulla strada verso Nchiru alcuni
bambini e adulti che ormai mi riconoscono, ma anche altri non si tirano
indietro quando porgo la mano, ci scambiamo un saluto o mi dicono “mzungu”. Mi
chiedo sempre come mai non si crea questa continuità tra i nostri bambini e i
loro coetanei che s’incontrano la domenica mentre vanno a messa alla chiesa di
S. Rita. Mi sembrano due razze diverse, che si lanciano timidi sguardi curiosi
e nulla più. L’esperienza di oggi, comunque, aggiunge un altro tassello all’esplorazione
e alla conoscenza di questo Paese, regalandomi quella che io chiamo l’intimità
dell’Africa. Cosa che è già capitata (e descritta) nei viaggi a Matiri e a
Laare. La ciliegina di oggi è stata la visita a Moses, che, essendo diventato
sieronegativo, era rientrato in famiglia. Non ha mostrato di riconoscerci, ma
quando per scherzo è stato avviato verso la nostra macchina si è messo a
piangere. Buon segno, ci siamo detti. E’ sempre un bel bambino e vive nella sua
famiglia e nella sua terra. Il suo futuro sarà nelle sue mani.
Nchiru 22/03/2013 Nicola Samà nicsam50@libero.it